matrix realtà finzione simulazione

Quante probabilità abbiamo di vivere nel mondo REALE e quante in una perfetta simulazione computerizzata. Secondo gli ultimi studi Matrix e realtà hanno le stesse probabilità.

La sete di conoscenza propria dell’uomo lo ha, da sempre, portato ad interrogarsi sulla natura della realtà. Conoscere è scoprire la realtà, ma che cosa ci garantisce che ciò di cui facciamo esperienza sia davvero reale e non una semplice simulazione? E’ un dubbio che già dall’antichità si è fatto strada nella mente dell’uomo, con Platone e il suo mito della caverna, o ancora con il “genio maligno” cartesiano, ispirando anche romanzi dalle sfumature oniriche come le Avventure di Alice di Lewis Carrol e trovando infine spazio nella cinematografia di massa in opere come The Truman Show o il più fantascientifico Matrix.

Nick Bostrom: il famoso trilemma.

Il tema è stato affrontato anche dal filosofo contemporaneo Nick Bostrom che nel 2013 ha pubblicato un saggio nel quale esplorava la possibilità che la realtà che viviamo quotidianamente sia una simulazione al computer ricreata da una società più avanzata della nostra. Bostrom in particolare si soffermava sul fatto che delle tre seguenti ipotesi, almeno una dovesse essere quella vera:

  1. Una civiltà si estingue prima di sviluppare la capacità di creare simulazioni della realtà.
  2. Una civiltà avanzata non ha interesse a creare simulazioni di realtà.
  3. Quasi certamente stiamo vivendo all’interno di una simulazione al computer.

Infine, più di recente anche il visionario imprenditore Elon Musk ha toccato l’argomento quando, durante una conferenza stampa nel 2016, ha affermato in maniera forse un po’ superficiale che “le probabilità che siamo nella realtà di base sono una su miliardi”.

E’ invece di questi giorni un intervento dell’astronomo David Kipping della Columbia University che su Scientific American torna sul tema sollevando qualche perplessità circa l’affermazione di Musk e cogliendo l’occasione per offrire la sua visione su un argomento che continua a solleticare il pensiero profondo e la fantasia dell’uomo.

“Musk ha ragione se si presume che le prime due ipotesi del trilemma siano false, ma come si può presumere ciò?” domanda Kipping. L’astronomo ha quindi deciso di riconsiderare proprio il “trilemma” di Bostrom con un approccio bayesiano e cioè calcolando la probabilità che una cosa accada (probabilità ex-post) facendo prima ipotesi sulla cosa analizzata (assegnando una probabilità ex-ante).

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Realtà e Matrix hanno pari probabilità

Kipping muove quindi il primo passo del suo ragionamento riconducendo il trilemma ad un dilemma: le prime due proposizioni infatti sarebbero condensabili in un’unica affermazione, poiché in ambo i casi il risultato finale sarebbe la non-esistenza di una simulazione. A questo punto le ipotesi in contrapposizione sono due:

  1. Non esiste alcuna simulazione
  2. Esiste una realtà di base con le sue simulazioni

“E’ sufficiente assegnare una probabilità ex-ante a ciascuna di queste due ipotesi. Assumiamo il principio di indifferenza, che è il presupposto predefinito quando non si hanno dati o inclinazioni per le ipotesi che si presentano”: con questo ragionamento Kipping vuole semplicemente dire che aprioristicamente le due ipotesi hanno pari probabilità di essere vere.

Il ragionamento di Kipping prosegue poi nel considerare le realtà “pluripare” da quelle “nullipare”: le prime, cioè, che possono generare altre realtà simulate e le seconde invece che non possono creare alcuna simulazione. Se prendessimo per vera la prima delle due ipotesi (non esiste alcuna simulazione), allora la probabilità di vivere in un universo nulliparo sarebbe facile da calcolare e sarebbe pari al 100%. Kipping ha però poi mostrato che anche nell’ipotesi in cui si vivesse in una simulazione, la maggior parte delle realtà simulate sarebbe di tipo nulliparo, questo perché quando le simulazioni si stratificano, parallelamente diminuirebbero le risorse a disposizione di un ipotetico computer adibito alla simulazione.

In altre parole, più si va a fondo nella “tana del bianconiglio”, meno potenza di calcolo si avrebbe a disposizione per creare una simulazione convincente. Ciò per dire che anche se vivessimo in una simulazione, molto probabilmente la percepiremmo come una realtà nullipara. Ma se la realtà è nullipara e anche la simulazione ha un’alta probabilità di essere nullipara, allora secondo Kipping non ci sono elementi che possano far propendere per l’una o l’altra ipotesi e quindi anche le probabilità ex-post di vivere nella realtà di base sono pressoché pari alle probabilità di vivere in una simulazione.

Ma se la civiltà riuscisse a creare una simulazione con esseri coscienti al suo interno, le probabilità cambierebbero drasticamente. “Si può semplicemente escludere subito la prima delle due ipotesi, quindi resta solamente l’ipotesi della simulazione. Quando inventeremo quella tecnologia, le probabilità del 50-50 si sbilanciano verso l’ipotesi che viviamo in una simulazione. Quel giorno sarebbe una celebrazione molto strana del nostro genio”.

Quindi a valle del ragionamento di Kipping, Musk sarebbe in errore sul conto delle probabilità di una su miliardi di vivere nella realtà di base. Anche Bostrom si trova d’accordo con il risultato di Kipping, ma contesta la scelta di assegnare uguali probabilità alle due ipotesi all’inizio del ragionamento: “Invocare il principio di indifferenza in questo caso è un azzardo. Si potrebbero considerare altrettanto bene le mie tre ipotesi originaire, con un terzo di probabilità di ciascuna. Oppure si potrebbe ritagliare lo spazio delle possibilità in qualsiasi altro modo e ottenere qualsiasi risultato si desideri”.

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Quali dimostrazioni di vivere in una simulazione?

Il punto comunque è che ora come ora qualsiasi elucubrazione come quelle qui sopra può essere valida, a meno ovviamente di poter trovare le prove di vivere in una simulazione. E come si può fare? Chi ha visto Matrix si ricorderà il celebre espediente narrativo del deja-vu, con il protagonista Neo che vede due gatti identici muoversi nella stessa maniera, uno dopo l’altro in rapida successione. Nella finzione del film un deja-vu è un’ “imperfezione di Matrix”, che si verifica quando nella simulazione “cambiano qualcosa”. Trovare le prove di vivere in una simulazione vorrebbe dire, in altri termini, mettersi a caccia di imperfezioni.

Ma ciò implica un assunto, ovvero che la simulazione si basi su una potenza di calcolo limitata. E’ quanto sostiene l’esperto di matematica computazionale Houman Owhadi del California institute of technology: “Se la simulazione avesse una potenza di calcolo infinita, allora non si potrebbe vedere in nessun modo di essere all’interno di una simulazione, perché qualsiasi cosa potrebbe essere calcolata con qualsiasi grado di realismo. Perché si possa pensare di individuare delle prove bisogna allora partire dall’assunto che la simulazione si poggia su risorse di calcolo limitate”. E qui, per semplificare meglio il concetto, possiamo fare un parallelismo con i videogiochi dove i mondi virtuali sono programmati in maniera efficiente, facendo uso di “trucchetti e scorciatoie” così da rendere meno onerosa in termini di risorse la loro creazione. Se riuscissimo ad individuare questi “trucchetti e scorciatoie”, o le imperfezioni di cui sopra, avremmo quindi la prova di essere in una simulazione.

Owhadi sostiene che il modo più efficace di trovare queste fantomatiche imperfezioni è quello di condurre esperimenti di fisica quantistica, mentre un’altra accademica, Zohreh Davoudi della University of Maryland, pensa che la strada più interessante sia quella dell’osservazione del cosmo. Sintetizzando e semplificando: in entrambi i casi, se vivessimo in una simulazione, si potrebbero osservare, in determinati condizioni, degli elementi che sarebbero in contrasto con la nostra conoscenza della realtà… ma in entrambi i casi potrebbe comunque essere difficile riuscire a determinare con sicurezza se si tratti o meno di una simulazione o semplicemente di qualcosa di reale ma che ancora non conosciamo completamente.

Kipping teme quindi che i tentativi di dimostrare se si viva o meno in una simulazione si collochino su un terreno scivoloso: “Probabilmente non è verificabile se viviamo o meno in una simulazione. Ma se questa cosa non è falsificabile, allora come si può affermare che sia davvero scienza?”.

Il rasoio di Occam.

La risposta, secondo l’astronomo, è più ovvia di quel che sembra, e abbraccia il caro, vecchio rasoio di Occam: in assenza di prove chiare e certe, è più probabile che la spiegazione più semplice sia anche quella più corretta. L’ipotesi di vivere in una simulazione si porta dietro moltissime condizioni, premesse e implicazioni, con realtà stratificate a matrioska ed entità simulate che non possono mai essere in grado di dire se si trovino all’interno di una simulazione o meno: si tratterebbe di creare quindi un modello teorico estremamente complesso e, perciò, più facilmente prono a contraddizioni capaci di destituirlo delle sue fondamenta. “Poiché si tratta di un modello così eccessivamente complesso ed elaborato, il rasoio di Occam suggerisce di scartarlo rispetto alla semplice spiegazione naturale” è la conclusione di Kipping. Insomma, le probabilità di vivere in una simulazione o nella realtà sono sempre 50-50, ma forse, dopotutto, stiamo davvero vivendo nella realtà.