Nuovi scavi fanno tornare in auge la teoria “Atlantide=Tartesso"

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Offline Enheduanna

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« Risposta #15 il: 11 Giugno 2015, 10:14:12 am »
Non credo che Tartesso=Atlantide. Sono convinta anche io che la Sardegna non fosse Atlantide, e Tartesso si dice che fosse una città posta ad occidente di Atlantide, quindi non sarebbe affatto incompatibile con la tua teoria che sia in Egitto  ;)

Quando finalmente si scaverà tutto ciò che dal Georadar risluta ancora sepolto, (intere città, statue di oltre 2 metri di cui solo in minima parte sono venute alla luce) e si chiarirà la vera funzione  degli oltre 12.000 nuraghes, del loro allineamento astronomico, solo allora si potrà capire il vero ruolo che la Sardegna ha avuto nella Storia




« Ultima modifica: 11 Giugno 2015, 10:20:55 am da Enheduanna »

Offline Enheduanna

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« Risposta #16 il: 11 Giugno 2015, 10:30:49 am »
P.S. Dimenticavo.... e quando si riconoscerà finalmente la scrittura nuragica, finora negata dagli studiosi "ortodossi" nonostante la quantità impressionante di reperti!!!
Ma i tempi stanno cambiando e le torri costruite dai negazionisti stanno per crollare (finalmente!)  :tongue:

Offline Ademiro

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« Risposta #17 il: 11 Giugno 2015, 11:01:24 am »
 :evviva:

Offline hyperspace

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« Risposta #18 il: 11 Giugno 2015, 13:14:45 pm »
Atlantide era compresa fra le isole Azzorre fino a Cuba e il triangolo delle Bermuda, ci sono numerose fonti che parlano di piramidi sottomarine

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« Ultima modifica: 11 Giugno 2015, 13:18:23 pm da hyperspace »

Offline Enheduanna

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« Risposta #19 il: 11 Giugno 2015, 15:01:11 pm »
Atlantide non è l'unico antico continente sommerso

Offline Ademiro

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« Risposta #20 il: 11 Giugno 2015, 15:29:05 pm »
Atlantide era compresa fra le isole Azzorre fino a Cuba e il triangolo delle Bermuda, ci sono numerose fonti che parlano di piramidi sottomarine

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vedi hyperspace, ho scritto in precedenza che ignoravo i siti sottomarini-sottoghiacciaio-sottoterra in quanto non provano un gagliardo nulla, l'unica prova reale/concreta di un'antica civiltà molto avanzata paragonabile ad Atlantide ad oggi è in Egitto.

Poi sono punti di vista, anche a me piace fantasticare, ma ogni tanto è giusto essere realisti. Cmq andiamo a parlarne nella discussione di Atlantide, qui è giusto concentrarsi sul Tartesso

Offline GeoMath

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« Risposta #21 il: 26 Luglio 2015, 23:22:06 pm »
http://gizidda.altervista.org/archeo/civiltasarda.html

ORIGINE DELLA CIVILTA' SARDA

Autoctona - babilonese - lidica - etrusca

I lavori degli studiosi Sergio Frau, Leonardo Melis e di Monsignor Giovanni Dejana, sacerdote di Jerzu ed emerito docente della Pontificia Università Urbaniana di Roma, hanno contribuito nel corso degli ultimi anni a ridare splendore a un popolo, quello dei sardi, che per troppo tempo è stato ignorato nonostante ricco di peculiarità storiche provenienti da ogni ambito, con particolare rilievo in quello archeologico e linguistico.

Sergio Frau per esempio, pur secondo me sbagliando nella sua identificazione della Sardegna con Atlantide, svolge un ottimo lavoro di ricerca sulle popolazioni autoctone in relazione ai famosi ‘popoli del mare’, lavoro che porta a conclusioni non del tutto esatte ma che restituisce dignità ai sardi presentandoli per quel che effettivamente erano: un popolo molto avanzato dalla grande esperienza marittima.

Leonardo Melis dal canto suo è stato il primo, assieme a me, a divulgare l’ ipotesi di una origine mediorientale (lui sostiene sumera, io accadica) del popolo sardo, o di una sua parte. Lui identifica questa origine negli Shardana, o, come traduce lui, ‘I principi di Dan’ ove Dan / Danu è una delle regioni mediorientali di maggior rilievo nella Mesopotamia del II millennio. Prima di lui, l’ unico autore che da oltre 30 anni sostiene questa origine mediorientale (portando a sostegno una mole di materiale documentale e analitico che ha dell’impressionante, la più dettagliata e più convincente) è il mio vecchio professore di Glottologia, il linguista Massimo Pittau, secondo il quale i ‘sardi’ come popolo sono nati dall’ unione di due correnti entrambe provenienti, in tempi diversi, dalla Lidia: un primo flusso identificabile nei Thyrrenoi (Tursceni), e un secondo flusso identificabile negli Shardianoi (Shardana). Entrambi questi gruppi lidici erano ‘popoli del mare’, gli Shardana anche guerrieri al servizio di faraoni egiziani nel XIII secolo a.C.

Monsignor Dejana, che per anni ha condotto studi emeriti riguardo l’ origine del popolo sardo e i suoi rapporti con l’ Egitto e il medioriente, conclude (erroneamente secondo me) che gli Shardana fossero proprio i ‘sardi nuragici’.

Tutti questi studiosi hanno trascurato una considerazione importante: le testimonianze di contatto di popolazioni lidiche con la regione Sardegna non vanno oltre il XV secolo a.C. La più antica datazione accettata per Sardis, la capitale della Lidia, non va oltre la fine del XIV secolo a.C. (alcuni sostengono 1320 a.C. circa), e i Thyrrenoi possono essere fatti risalire, nella loro migrazione in Sardegna, al massimo a 200 anni prima. Ma è ovvio che la Sardegna era abitata già prima da qualcuno; la civiltà prenuragica Abealzu-Filigosa è fatta risalire al IV millennio a.C., e a una data simile se non precedente è attribuita la civiltà di Ozieri. Inoltre è bene ricordare che alcuni dei più antichi nuraghi vengono fatti risalire a un periodo vicino al 1750 a.C., non compatibile con l’ avvento dei Thyrrenoi (nome che significa in effetti: costruttori di torri), che arrivarono in Sardegna nel XV secolo a.C. I Thyrrenoi devono dunque aver trovato almeno alcune di queste strutture già nell’ isola, al limite possono successivamente averne costruite di simili. Altresì bisogna supporre che né i Thyrrenoi né gli Shardana conoscessero questo tipo di costruzione, e ciò si evince dal fatto che in Lidia, come in tutto il medioriente e il resto del globo, non ci sono costruzioni simili. Le uniche torri circolari paragonabili si trovano una a Cuzco (ove in effetti si tratta di una torre semicircolare) e una in Sudafrica.

In base a queste considerazioni bisogna ammettere che nessuno degli studiosi sopra citati ‘copre’ la reale storia del popolo sardo se non a partire dalla metà del II millennio.

Particolarmente nel caso dell’ ipotesi avanzata da Leonardo Melis a riguardo di una discendenza sumera, c’ è un grosso gap temporale che egli non giustifica: la lingua sumera non veniva parlata dai lidi del XV secolo a.C., che avevano un alfabeto non cuneiforme e una lingua derivata da un miscuglio di accadico tardo e protocanaanita (simile all’ ugaritico). Sostenere quindi, come fa lui, che gli Shardana abbiano portato radici linguistiche sumere in Sardegna è per lo meno azzardato, se non inverosimile.

Attenzione, i popoli mediorientali quali assiri e babilonesi anche nel I millennio utilizzavano sporadicamente termini sumeri, ma NON la lingua sumera. Usavano una lingua accadica (sotto forma di dialetto babilonese o assiro a seconda della zona) CONTENENTE termini sumeri di attinenza religiosa o scientifica (nomi di metalli, di pianeti, di divinità etc).

Con questo articolo dunque mi propongo di tracciare una ‘timeline’ della popolazione sarda, pregiandomi di fornire alcune indicazioni che finora non ho mai letto da studiosi sardi miei conterranei, né da ‘eminenti’ studiosi o docenti di storia. Tempo fa ne scrissi nel forum di Melis, ma purtroppo la discussione non ebbe seguito.

Ebbene iniziamo.

Le prime tracce di insediamenti Homo Sapiens in Sardegna risalgono a circa il 13000 a.C., periodo al quale sono attribuiti ritrovamenti avvenuti in grotte nei pressi di Oliena. Un salto temporale ci porta a numerosissime testimonianze di insediamenti stabili nel neolitico a partire dal 6000 a.C. circa, specialmente nelle regioni centrali pianeggianti. A questo periodo vengono fatte risalire numerose ceramiche intagliate, si suppone utilizzando conchiglie affilate. Questo tipo di lavorazione era molto diffusa nel bacino del mediterraneo, ma anche nella zona iberica e nel Libano.

A partire dal 4500 a.C. circa gli insediamenti si moltiplicano e prende inizio quella che viene chiamata civiltà Bonu-Ighinu, della quale perdiamo le tracce intorno al 3000 a.C. circa. Nel mentre sono già attive, a partire dal 3600 a.C. circa, le già citate civiltà di Ozieri e Filigosa, le quali hanno lasciato tutta una serie di reperti lavorati e ‘costruzioni elementari’ di notevole interesse. Erroneamente a questa civiltà viene fatto risalire l’ altare preistorico di Monte d’Accoddi nei pressi di Sassari. E’ invece verosimile che, nello stesso sito, a questa cultura appartenga la ‘prima fase’ del complesso abitativo / religioso, composta da abitazioni basse e da un monolito lavorato.

Nel III millennio le civiltà sarde erano già notevolmente sviluppate: conoscevano la tessitura, avevano una forma di culto basata sulla Dea Madre e su divinità associate ai fenomeni naturali, lavoravano la selce, l’ ossidiana, ed erano esperti intagliatori ed estrattori.

E’ dunque evidente che già prima della fine del III millennio a.C. in Sardegna c’ era un certo numero di abitanti organizzati in più civiltà, ma è a partire dai primi secoli del II millennio che abbiamo un ‘boom’ di cultura e di ‘abilità’ in Sardegna. E alcuni particolari, in questo periodo, riconducono al medioriente. Non però alla Lidia, ma a una regione ben più famosa: Babilonia.

Nei miei studi di sumerologia e civiltà mesopotamiche mi sono imbattuto in un testo babilonese molto controverso, chiamato dagli studiosi ‘Enuma Nabo Shamatu’ che narra la fuga del dio Nabo dopo una sconfitta subita in una non meglio identificata guerra in territorio a est di Sumer.

Il testo riporta che:

"Nabo i sacri recinti abbandonò – nel deserto con gli uomini camminava, fino al mare, alle isole del grande mare a nord trovò rifugio e vi costruì un tempio, una casa per Amar-Ud".

Amar-Ud è uno dei modi di scrivere il nome del dio babilonese Marduk, di cui Nabo era figlio. Se il territorio di guerra a est di Sumer viene identificato con la regione del Mar Morto, le uniche isole in un mare a nord di tale zona possono essere le isole greche, Malta, la Sicilia e la Sardegna.

Ma in nessuno di questi luoghi troviamo templi dedicati a Marduk….

Ad eccezione forse di uno: Monte d’Accoddi.

E’ un fatto innegabile che questo sito, una volta ricostruito a modellino, abbia lasciato sgomenti gli studiosi di storia e archeologia sarda: si sono trovati davanti una versione ridotta di una zigguratt mesopotamica.

Quella che viene definita dagli studiosi una ‘curiosa coincidenza’ è in realtà la chiave per capire come, a partire da circa il 1900 a.C., in Sardegna entrano prepotentemente radici e segni di cultura accadica e sumera. Ma la ricostruzione di Monte d’Accoddi non rivela somiglianze con ‘UNA’ qualsiasi ziggurat mesopotamica, bensì con una in particolare: l’ Esagila di Babilonia, la ‘sacra casa di Marduk’.

La mia ipotesi è che la guerra che si menziona nel testo sopra citato sia la stessa di cui si parla del poema Epica di Erra, una guerra che fu causa della distruzione di Sumer a cavallo del 2000 a.C., mossa da Ishum ed Erra ai danni, appunto, di Marduk e suo figlio Nabu con i loro seguaci.

A seguito di ciò, come si legge nell’ Enuma Nabo Shamatu, Nabu si ‘esiliò’ (evidentemente con i suoi seguaci) in Sardegna e vi si stanziò portando quel grado di civilizzazione che la Mesopotamia aveva ormai da più di 1500 anni.

Questi migranti arrivati in Sardegna si stanziarono in varie zone dell’ isola, e interagirono con le culture locali non sottomettendole ma mischiandovisi. E’ un dato di fatto che in Sardegna l’ età del bronzo antico si sviluppa proprio a cavallo del XIX secolo a.C., appena 100 anni dopo il periodo a cui attribuisco l’ esilio di Nabu in Sardegna, ed è in questo periodo che si hanno le prime testimonianze di uso del bronzo (civiltà di Bonnannaro), mentre in Mesopotamia l’ età del bronzo inizia all’ incirca nel 2800 a.C. e giunge in Babilonia a cavallo del 2500 a.C.

Non è corretto invece asserire, come fanno molti, che in Sardegna l’ età del bronzo arrivò dalla cultura italica / appenninica, in quanto anche li il bronzo antico inizia a cavallo del 1800 a.C. ed è quindi contemporanea, e non precedente, a quello sardo. Tra i contributi che questo ceppo mesopotamico diede alla cultura dell’ isola c’ è proprio Monte d’ Accoddi, il cui nome secondo me deriva da ‘Akkad’. Infatti la struttura a tronco di cono con rampa è sicuramente successiva al 2000 a.C.

Giungiamo dunque al XVI secolo, periodo nel quale la popolazione autoctona ha integrato le colonie di origine babilonese accadica, e un secolo dopo si trova ad affrontare una invasione di navigatori provenienti dalla Lidia, quel popolo che i greci chiamavano Tyrsenói o Tyrrhenói. Erano, come detto, un popolo di navigatori, ma anche esperti lavoratori di metalli dato che tutte le popolazioni anatoliche lo erano (particolarmente quelle di discendenza ittita).

Questo gruppo lidico si stabilisce in Sardegna intorno al 1500 /1450 a.C. e trova nell’ isola una popolazione mista, pacifica, dedita prevalentemente all’ agricoltura e molto ferrata nelle costruzioni, con un vivo culto dei morti e una notevole arte edilizia e funeraria. I Thyrrenoi vi si integrano dando inizio a una tradizione costiera e marittima, ma non limitandosi solo alle zone costiere, anzi spingendosi anche all’ interno. La loro influenza linguistica però non è marcata nelle zone interne, dove vive ancora una spiccata componente accadica e sumera portata dai primi ‘coloni’.

Circa due secoli e mezzo dopo, un altro gruppo di navigatori, stavolta guerrieri e sempre provenienti dalla Lidia (precisamente da Sardis), si spinge fino alla Sardegna. Sono un popolo nominato anche negli annali faraonici egiziani, che ha prestato servizio per faraoni nella battaglia di Qadesh; un popolo chiamato Sardianói dai Greci, e Shrd dagli egiziani (che evidentemente li chiamavano con un nome derivante dall’ appellativo greco). Questi furono l’ ultimo gruppo di navigatori provenienti dal medioriente che si stanziò nell’ isola, e fu questo popolo a dare alla regione il nome di "Sardò".

A cavallo del X secolo a.C. gli abitanti autoctoni, il ceppo di origine babilonese, e i due ceppi lidici, si erano amalgamati definitivamente costituendo quel gruppo di abitanti che ora siamo abituati a chiamare ‘sardi nuragici’, e che secoli più tardi si trovò a dover affrontare la minaccia fenicia e successivamente cartaginese. Fu proprio la componente Shardana a fermare i Fenici nel loro avanzare nel Mediterraneo. L’ ultimo insediamento degno di nota fu quello degli Etruschi, popolazione di origine lidica del primo ceppo dei Thyrrenoi stanziatisi nell’ Italia centrale appenninica e successivamente, da li, nell’ isola.

Veniamo ora al ‘mistero’ della scrittura sarda. Intanto è bene sfatare il mito, nel caso ancora qualcuno ci credesse, secondo il quale i ‘nuragici’ inventarono una loro lingua e un loro alfabeto.

In terra sarda sono stati trovati reperti contenenti almeno 5 tipi di scrittura precedente a quella latina: geroglifici egiziani, scrittura minoica, scrittura fenicia, scrittura protocanaanita, e scrittura etrusca.

Dal punto di vista dei lessemi, molto del sardo deriva dall’ etrusco, come ha abbondantemente dimostrato Massimo Pittau; ma vi si trovano anche innumerevoli radici accadiche e addirittura sumere, come evidenziato da Leonardo Melis.

Radici di evidente origine sumera sono DAM, DUMU, ITU, IKU, SER/SAR, -MU.

Radici di origine accadica sono ETU, SUM/SAM, MERE/MARA, ATU.

Ma a parte le radici di parole sarde riconducibili ad altrettante di origine sumera e accadica, esistono intere parole, nella lingua sarda, che hanno mantenuto oltre a una omofonia anche un significato similare. Non però con il sumero, come sostiene Melis, ma appunto dall' accadico, compatibilmente con la cronologia di eventi vista più su.

E' il caso di termini come il sardo ABBA (acqua) e l' accadico ABUBU (diluvio, pioggia copiosa), il sardo ACCALAMAU (che ha perso vigore, esaurito, appassito) e l' accadico AKALU (consumare, irritare, far consumare), il sardo BABBU (padre) e l' accadico ABU (padre, avo), il cagliaritano CALLONI (testicoli) e l' accadico QALLU (genitali - sia maschili che femminili), il sardo MACCU (matto, stupido) e l' accadico MAKU/MEKU (negligente, stupido, non attento), e varie altre. Un lavoro dettagliato in merito é stato condotto dallo studioso Salvatore Dedola, al cui lavoro rimando.

La dominazione romana poi ha portato all’ adozione dell’ alfabeto latino, cancellando ogni traccia dei precedenti alfabeti mediorientali, e ‘latinizzando’ completamente i termini (nonostante molte delle radici di cui sopra ancora sopravvivono).

La successiva dominazione spagnola tra il 1300 e il 1500 ha prodotto quella lingua, o meglio, quel gruppo di lingue, attualmente parlate in Sardegna.


Offline Enheduanna

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« Risposta #22 il: 04 Agosto 2015, 14:36:14 pm »
Approfitto del post di Geomath per chiedere, chi ne avesse il tempo e la volontà, di firmare una petizione lanciata nei giorni scorsi rivolta al Rettore dell'Università di Cagliari per l'istituzione di una Corso Universitario di storia Nuragica e Prenuragica.
Trovo assolutamente assurdo che una cultura millenaria, unica, capace sicuramente di riscrivere la Storia del Mediterraneo tutto, che ha lasciato così tante tracce di sè, venga completamente ignorata.

Citazione
La peculiarità ed unicità mondiale della cultura Sarda del periodo in cui furono edificate le costruzioni megalitiche, abbisogna di una attenzione maggiore e di essere studiata come materia a se stante e, con uno studio dedicato, i monumenti presenti nell'Isola, dalle Domus de Janas, agli oltre 8.000 nuraghi arrivati fino a noi, le Tombe dei giganti, pozzi Sacri, Fonti, Templi a Megaron, Dolmen, Menhir e tutte le costruzioni relative al periodo, possono restituirci una visione molto più ampia e particolareggiata di ciò che furono la protostoria e la preistoria in Sardegna e in tutto il Mediterraneo.

https://www.change.org/p/magnifico-rettore-maria-del-zompo-chiediamo-un-corso-universitario-di-archeologia-pre-nuragica-e-nuragica?recruiter=71759168&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=share_facebook_responsive&utm_term=des-lg-no_src-no_msg&fb_ref=Default
« Ultima modifica: 04 Agosto 2015, 14:38:05 pm da Enheduanna »

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« Risposta #23 il: 04 Agosto 2015, 15:00:37 pm »
io ho ritrovato questo viedo, che reputo interessante, sulle civiltà nuragiche


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« Risposta #24 il: 04 Agosto 2015, 19:14:35 pm »
Approfitto del post di Geomath per chiedere, chi ne avesse il tempo e la volontà, di firmare una petizione lanciata nei giorni scorsi rivolta al Rettore dell'Università di Cagliari per l'istituzione di una Corso Universitario di storia Nuragica e Prenuragica.
Trovo assolutamente assurdo che una cultura millenaria, unica, capace sicuramente di riscrivere la Storia del Mediterraneo tutto, che ha lasciato così tante tracce di sè, venga completamente ignorata.

https://www.change.org/p/magnifico-rettore-maria-del-zompo-chiediamo-un-corso-universitario-di-archeologia-pre-nuragica-e-nuragica?recruiter=71759168&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=share_facebook_responsive&utm_term=des-lg-no_src-no_msg&fb_ref=Default
...fatto  :vinto: :vinto:

Offline Enheduanna

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« Risposta #25 il: 02 Marzo 2016, 13:03:31 pm »
Tharros, Tarsos, Tirso, Tiro
di Danilo Scintu

  Fin dalla preistoria europea si narra di popoli che hanno vissuto nella leggenda, e di altri popoli che li hanno tramandati sino a noi diventando anch’essi leggendari. Quella europea fu una civiltà imperitura, forgiata in un passato ben organizzato già durante il Paleolitico, che dipinse in tutta Europa le grotte facendone importanti santuari. Proprio qui a cominciare da 8 mila anni fa si costruì un patrimonio edilizio megalitico del tutto eccezionale a partire proprio dai pressi delle grotte per espandersi in tutte le contrade. Al popolo mitico delle origini, vennero associati caratteri unici, magici e fiabeschi, riportanti ad un mondo di fate e streghe, di draghi, elfi e dee. Fu una civiltà unica e fiorente quella europea che adottò il Megalitismo, cioè l’uso di gigantesche pietre per la costruzione dei loro edifici, assieme al culto della Dea Madre ed una moltitudine di altri simboli ricorrenti tra cui la protome taurina, il serpente e gli occhi della Dea civetta. Fu con l'arrivo di popolazioni orientali dal culto androcentrico che nel secondo millennio a.C. la religione della Dea venne assorbita e manipolata finendo per perdere il suo carattere più peculiare.

Nell'Europa Atlantica, con la costruzione di Stonehenge termina il grande periodo del megalitismo ove l'arte legata alla Dea lentamente si dissolve in tutta l'Europa settentrionale sino alle propaggini estreme della Penisola Iberica. Solo nelle isole del Mediterraneo Occidentale, nell'arcipelago formato da Sardegna, Corsica e Baleari proseguì la sperimentazione e lo sviluppo dell'arte della Dea. Questo popolo è ricordato nei testi greci del 5 secolo a.C. per le sue opere stupefacenti. La particolare rilevanza costruttiva della Sardegna tra il Neolitico e l’Età del Bronzo ne è un esempio lampante. In quest'isola di soli 24.000 km quadrati, durante il Neolitico, furono scavate oltre 3500 tombe ipogee dette Domus de Janas, si costruirono al cielo grandi piramidi in pietra come Monte d'Akkoddi, assieme a gigantesche muraglie e centinaia di Dolmen. Durante l'epoca del Bronzo, quando altrove in Europa non si costruiva più, vennero eretti circa 10 mila grandi complessi turriti, i nuraghi, che hanno vinto le insidie del tempo assieme a un migliaio di templi a pozzo, un numero simile di tombe dei giganti e un altrettanto enorme patrimonio costituito dagli edifici civili, ville ed edifici termali.

In alto: Domus de Janas di Montessu, piramide tronca di Monte D'Akkoddi, nuraghe di S. Barbara di Macomer, pozzo sacro di S. Cristina di Paulilatino.


  I resti dei centri urbani nuragici ci raccontano di quegli uomini antichi, i loro muri narrano non solo della perizia tecnica ma anche dell’organizzazione degli ambienti abitati, la loro distribuzione documenta un’imponente urbanizzazione quasi a definire parti sterminate del territorio isolano come un “villaggio continuo”. Tradotta in termini di “livello di civiltà” quella nuragica possiamo definirla “civiltà urbana”, un esempio ne è la penisola del Sinis densamente popolata sin dal Neolitico. Nella penisola del Sinis coevi alla città di Tharros sono anche 118 nuraghi e i resti di sterminati villaggi sulle creste basaltiche dei colli, tra gli spietramenti agricoli si rinvennero centinaia di modelli di navi e statuette in bronzo assieme alle grandi statue in pietra denominate Giganti di Mont’e Prama, raffiguranti in nere guerrieri - arcieri, opliti, soldati della fanteria - dotati di elmo “cornuto”.

I Giganti di Monte 'e Prama a sinistra;, a destra bronzetto riportante un guerriero mitologico con 4 occhi e 4 braccia.

Veduta aerea della piana di Oristano, in basso la penisola del Sinis con l'isola di Tharros sulla propaggine meridionale

 Lo stesso termine Sinis, dal significato etimologico nuragico e semitico, alla Dea Sin la Dea lunare e potrebbe spiegarci la sacralità e il dispendio di una tale edificazione tra mare e stagni salati a partire da epoche remote. Sulle propaggini meridionali del Sinis è la città di Tharros, abitata da tempi immemori sino al Medioevo quando capitale del Giudicato di Arborea venne abbandonata per costruire Oristano in una zona più difendibile dai pirati saraceni.
  Malgrado la città sia stata abitata sino al 1076 d.C. l’abitato megalitico di Tharros inspiegabilmente è riemerso intatto durante gli scavi archeologici sulla collina di su Muru Mannu, in origine l’acropoli della città. Qui numerosi ambienti circolari, affacciati su un cortile centrale e un grande tempio anch’esso circolare sono racchiusi da imponenti mura di cinta, il tutto realizzato con massi enormi di pietra. Di epoca nuragica a perdurare nel tempo sino a noi è anche la rocca di Tharros, il promontorio ove oggi sorge la torre di S. Giovanni le cui fondamenta poggiano di misura su una struttura circolare preesistente in massi ciclopici posata su una piattaforma megalitica triangolare.
  Seguendo il percorso storico fornito dai dati archeologici, essi portano a confermare la grande importanza assunta da Tharros nei millenni, una potente città del Mediterraneo Occidentale, alla foce del fiume Tirso, sulla costa del Mare Sardo, esattamente di fronte le Baleari. Era da Tharros che già dal Neolitico partivano alla volta delle coste spagnole, francesi e italiche, prodotti quali l’ossidiana, la botarga o il pesce salato come le sardine che della Sardegna mutuano addirittura il nome. Durante l’epoca nuragica la ricchezza mineraria della Sardegna forniva a Tharros, il bronzo e l’argento che commerciava con le corti di Micene e di mezzo Oriente, addobbando le tombe reali d’Egitto.
  Il suo entroterra costituito dalla piana fertilissima dell’Arborea alla foce Tirso, produceva in abbondanza ogni prodotto capace di soddisfare tutte le necessità del popolo. Quella di Tharros fu una ricchezza senza pari per il mondo di allora, capace di realizzare possenti mura di cinta, templi ed edifici di grande monumentalità dal gusto megalitico come i nuraghi.

Le mura di megalitiche di Tharros

    La città di Tharros sorge su una rocciosa isola a picco sul mare oggi unita alla terraferma da una lingua di sabbia eolica che trasforma l’isola in una penisola. Prospiciente lo stretto canale che la divideva dalla terraferma, si erge la monumentale cinta muraria in ciclopici massi di basalto, trachite e arenaria che ancora oggi racchiudono la città fortificata. Il sistema di fortificazioni tharrense ha uno sviluppo di circa 1750 metri racchiudente un area di oltre 115 mila mq, imperniato su due punti focali: l’acropoli di su Muru Mannu a nord e la rocca di San Giovanni a sud.
Pianta della cinta muraria di Tharros, in alto a sinistra la rocca, a destra l'acropoli.

Dagli scavi di Tharros effettuati sulle mura settentrionali di su Muru Mannu, è emerso un imponente sistema di fortificazioni, secondo una concezione di difesa multipla attestata successivamente anche nelle città puniche come Cartagine. La profondità del sistema di fortificazione a settentrione era di circa 230 metri, è presumibile che tale triplice sistema difensivo fosse impiegato solo nei pressi di Su Muru Mannu, la zona posta a baluardo della strada che conduceva a Tharros e che la collegava con il resto dell'isola.
  Dunque a Tharros la prima linea di difesa era costituita dal canale artificiale che dal mare aperto conduceva all'arsenale di Mistras e alla zona portuale, affiancato da un muro in grossi blocchi poliedrici di basalto e trachite rossa osservabile ancora per circa 50 metri in senso est-ovest. La seconda linea in blocchi di arenaria è costituita da due muraglie parallele e un fossato situata a sud ad una novantina di metri dalla prima e si estende sempre da est ad ovest con una lunghezza di circa 267 metri.
  I venti prevalenti di maestrale hanno addossato sulle mura una catena di dune di sabbia, presso l’attuale strada queste dune descrivono una larga rientranza semicircolare: quel luogo corrisponderebbe all’accesso di una porta ancora coperta dalla sabbia eolica.
  La terza linea ubicata a 140 metri più a sud dalla centrale, è anch’essa in enormi massi poliedrici ed è quella meglio visibile oggi, perché interessata dagli scavi archeologici degli edifici nuragici e del Tofet fenicio, Su Muru Mannu. L’andamento di quest’ultima linea difensiva, è anch’esso in senso est-ovest visibile per 88 metri, descrive un’ampia rientranza verso sud-ovest e verso sud-est in modo da raccordarsi alle fortificazioni che chiudono l'acropoli e il resto della città. Questa terza linea che circonda l’acropoli per 2/3 ove sono le capanne nuragiche ed una torre megalitica, è articolata da un terrapieno, un fossato e una cortina muraria sempre in grandi massi ciclopici. Il terrapieno costituisce parte dell’acropoli, ha 10 metri di spessore ed è dotato di un muro di controscarpa in ciclopici massi poliedrici di basalto e arenaria. Il fossato largo sei metri, alla base è collegato al terrapieno tramite due postierle, due porte di un metro di luce che consentivano l’accesso alle fortificazioni nei settori est e ovest della linea difensiva. Le postierle, realizzate con grandi blocchi isodomi di arenaria, si innestano alla muratura poliedrica in modo mirabile, esse si evidenziano sul muro ciclopico con la bicromia ottenuta dal nero basalto con il giallo e l’isodomia dell’arenaria. La medesima rifinitura artistica la ritroviamo sul paramento esterno della cortina parallela al terrapieno. Essa ancora oggi svetta per oltre 5 metri d’altezza ed ha uno spessore di circa 3 metri, il suo muro è realizzato con conci poliedrici di basalto e filari con grandi blocchi squadrati di arenaria, producendo sul paramento ancora gli effetti della bicromia del bianco e del nero tanto cara al popolo sardana.
A sinistra Planimetria e sezione delle mura di Tharros con la sequenza dei muri di cinta che racchiudono l'acropoli a nord; a destra la postierla a ovest del muro megalitico

  Il muro ciclopico di evidente matrice megalitica e nuragica, è stato invece datato dallo scavatore al principio del V secolo a.C. in epoca punica, benché nessuna città fenicia o cartaginese abbia mai impiegato la tecnica poliedrica e la bicromia. La dimensione dei massi e la tessitura del muro con la bicromia degli edifici nuragici adagiati sul terrapieno, mostrano come tali opere siano da riferire solo al nuragico, una decina di secoli prima. Come sappiamo, datare con certezza un muro di pietre è praticamente impossibile se non si trovano al suo interno reperti fittili; solo l’architettura con la conoscenza degli stili artistici del tempo può sopperire a tale scopo. La dimensione dei massi, la morfologia poliedrica e la loro posa in opera, riportano ad un quadro cronologico molto più antico del periodo cartaginese, ovvero alla stessa epoca dei nuraghi.

Le due postierle di Tharros presso il grande muro di cinta di "su Muru mannu" e i grandi massi megalitici della rocca di Tharros.

L’acropoli di Tharros
 
  Il grande fascino emotivo dell’acropoli di Tharros nei pressi di Su Muru Mannu, è forse dovuto ad una serie di ambienti di epoca nuragica di forma circolare e quadrangolare, disposti attorno ad un grande edifico megalitico. Essi sono gli unici resti rimasti di Tharros risalenti al XIII secolo a.C., epoca dell’abbandono della città che da quanto raccontano le leggende tramandate dagli anziani venne distrutta a causa di un maremoto. Fu questa tragedia climatica che interessò l'intera isola una delle ragioni che spinsero i Sardana ad invadere l'Oriente e l'Egitto nella coalizione dei Popoli del Mare.
  I Fenici, probabilmente gli stessi Sardi di rientro dalle guerre di invasione all’Oriente, fecero dell’acropoli di Tharros il loro Tofet, secondo la Bibbia il luogo sacro più importante della città. L’area del Tofet di Tharros comprende circa 1000 metri quadri, al momento della posa delle urne gli ambienti nuragici erano già stati abbandonati. I Fenici del costruito nuragico sull’acropoli ne fecero il principale luogo sacro della città: accostarono ai preesistenti nuovi edifici, ma non si sovrapposero mai alle mura arcaiche come a voler rispettare l’antico luogo sacro, forse l’ancestrale dimora dei re di Tharros.
  Gli archeologi non sanno definire cosa possa essere stato un edificio di tali dimensioni sull’acropoli, nei pressi sono stati ritrovati solo dei crani di toro, perciò è considerato un macellum di epoca romana, anche se è risaputo che il toro e le protomi taurine sono un inconfondibile segnale della sacralità della Grande Dea. L’edificio racchiude una vasta area di circa 1600 metri quadrati, ove solo il grande vano centrale è di 850 metri quadrati. Poteva essere un ambiente coperto o a cielo aperto, mentre gli ambienti intorno erano certamente coperti da un tetto ligneo. A mio parere, vista la posizione privilegiata al centro dell’acropoli è possibile che questo imponente edificio sia stato il tempio principale della città.

Tharros nel Mito.

     Nella mitologia locale gli anziani (a partire da mio padre che mi giurò lo apprese da suo padre e lui dal suo, e così via nei millenni), narrano di una ancestrale tragica distruzione della città di Tharros a causa di un fortissimo maremoto. La collocazione di tale evento si perde nella notte dei tempi probabilmente 200 anni prima di quando i fenici sull'acropoli fecero del costruito nuragico il luogo di maggiore sacralità, il tofet. Una tragedia del genere può essersi verificata qualora forti raffiche di vento avessero soffiato per giorni sino a sollevare un moto ondoso eccezionale capace di distruggere la città. Si potrebbe anche supporre che tale evento sia stato determinato da movimenti tellurici. Ad ogni modo Tharros con le sue grandi e megalitiche mura nuragiche assieme all'acropoli e al suo tempio sono prova archeologica di una città prefenicia realmente esistita. I fenici grandi navigatori del I millennio a.C. nel tempo ricostruirono il florido emporio che Tharros deteneva già da millenni essendo un porto sicuro approdabile in ogni condizione di vento. Dai ritrovamenti archeologici notiamo un porto sempre a contatto con l'Oriente e con l'Egitto prova ne sono le statuette in argento e bronzo riportanti la Dea Hathor con in grembo Osiride, assieme a migliaia di scarabei statue e stele.
  In quello stesso periodo, a cavallo della fine del 1300 e il primi anni del 1200 a.C., la distruzione di una città e della sua isola è documentato numerose volte nelle stele commemorative egiziane, quando i sardana coalizzati con altre genti del mare invasero l'Egitto e parte dell'Oriente. I geroglifici di Medinet Habu ad esempio raccontano una catastrofe che avrebbe messo in ginocchio alcuni dei popoli invasori appartenenti ai Popoli del Mare: “gli stranieri venuti dal nord vedono le loro terre scuotersi, il loro paese è distrutto le loro anime in angoscia. I popoli del settentrione complottarono nelle loro isole ma nello stesso tempo la tempesta inghiottiva il loro paese, la loro capitale distrutta, annientata”.
  Gli stessi toni catastrofici li leggiamo anche nella Bibbia, quando Isaia ed Ezechiele narrano della punizione di Dio su una Tiro delle isole collocata in mezzo al mare. Secondo Max L. Wagner (1967), glottologo e studioso della lingua sarda, l’etimo di Tharros è da collegarsi a Tiro, entrambe significano “rocca” “promontorio roccioso”; in accadico Suru o Tzuru, in fenicio Sr o Tzur, in greco Turos, in latino Tyrus o Sarra. Dunque una Tiro che ritroviamo non solo sulla costa del Libano, ma anche ad Occidente sulla costa occidentale della Sardegna.
  Leggendo gli scritti sui miti e le leggende riguardanti i Fenici su Tiro e sua madre - figlia Tarsos, si resta colpiti dai numerosi dubbi interpretativi lasciati.

Veduta aerea delle città di Tharros e di Tiro due città simili costruite su ub isolotto poco distante dalla terra ferma.

  Di Tarsos o Tartesso se ne parla soprattutto nella Bibbia e nei testi degli autori greci e romani, ma per quanto queste località siano ben descritte oltre le Colonne d’Ercole, nella realtà in territorio iberico non sono mai state trovate prove archeologiche né tanto meno vi sono toponimi o altri segnali del suo nome, insomma niente che riporti alla Tartesso biblica.
  A mio parere le uniche prove archeologiche sull’esistenza di Tartesso sono solo in Sardegna, tutte prove tangibili, con resti archeologici di rilievo tra cui la città di Tharros e numerosi toponimi assieme a tre antichissimi reperti scritti di grande valore.
  Sallustio e Pausania, due commentatori dell’antichità, ci hanno raccontato come il condottiero iberico Norace avrebbe fondato la città di Nora dandole il proprio nome. Più tardi Solino completa la notizia dichiarando Tarsos madrepatria di Norace. Interpretare la validità di questo passo è difficile in quanto nel termine Norace vi è la più antica attestazione del nome dell'edificio sinonimo di Sardegna, il nuraghe.
  Secondo Pausania: “Tartesso è quella località dell'Occidente che non deve niente all'azione civilizzatrice ellenica; è una isola ricca e felice che fa quasi ombra alla grandezza ellenica tanto che il mitico re Argantonio di Tarsos si è permesso il lusso di finanziare la ristrutturazione delle mura della città di Focea e di offrire nuova terra per concedere una nuova patria ai Focei in fuga”.
  Pausania riprendendo il racconto di Erodoto sulle esplorazioni Focee in occidente, parla di Argantonio, re di Tarsos, quando per amicizia aiutò i Focei a ricostruire le mura della loro città in Grecia, al fine di resistere agli assedi dei Persiani. Successivamente dopo la loro fuga dalla Grecia, offrì loro asilo nelle terre del regno facendo erigere la città di Alaia in Corsica.
  L’affinità culturale di Sardegna e Corsica entrambe con presenze nuragiche, porta a confermare l’esistenza di un unico Re nelle due isole avendo esse monumenti identici e una comune storia vissuta. A questo punto la mitica Tarsos del re Argantonio, potrebbe essere la stessa Tharros, non solo per l’identico nome TRŠŠ, ma anche perché essa è congeniale all’archeologia fornendo prove concrete. In Spagna l'archeologia deve ancora testimoniare i legami tra Fenici e il regno del re Argantonio, a partire da epoche sufficientemente remote come raccontato dagli antichi autori e dalla Bibbia stessa. La prova tangibile più antica e concreta dell'esistenza storica di Tartesso in Sardegna, è la Stele di Nora. Si tratta della famosa iscrizione in caratteri fenici, oggetto di studi da parte di moltissimi esperti, i quali hanno fornito diverse traduzioni anche molto discordanti fra loro, indice questo di grosse difficoltà interpretative.

La prima riga per la maggior parte degli studiosi dovrebbe leggersi:
  b - TRShSh = in T(a)rsh(i)sh, ovvero “in Tarsos”.
  Questa scritta scolpita nella pietra, rappresenta la prima prova che la Sardegna ha avuto la sua Tartesso, probabilmente l'unica mai esistita.


La stele di Nora: la prima riga dovrebbe leggersi: b - TRShSh = in T(a)rsh(i)sh, ovvero “in Tarsos”.

   Esistono altre due iscrizioni in Sardegna ove compare il nome di Tarsos: il frammento ceramico detto Coccio di Orani ritrovato nel centro-nord dell’isola e l’Altare di Zeddiani, dove anche in essi si legge b-TRShSh “in Tarshish”. Secondo le descrizioni la mitica Tarsos era di fronte alla foce del fiume che portava il suo stesso nome. Nell'ambito del golfo di Oristano, di fronte all’antica Tharros, esiste il fiume più importante dell'isola il cui nome è proprio Tirso, il cui etimo riporta alla Tharros- Tarsos.
  Tutte le fonti antiche parlano di uno stretto legame fra Tartesso e l’argento. La Sardegna era famosa per le sue ricche vene d'argento, la Spagna invece più dell’argento poteva vantare giacimenti di stagno e oro. La corretta definizione di quel fiume Tarsos degli antichi, che trasportava ora l'uno ora l'altro metallo prezioso fin dentro le mura della città portuale, sembra indicare Tharros come la mitica città perduta, posta frontalmente alla foce del fiume Tirso ricco di miniere d’argento lungo il suo corso.
  Tharros con le sue possenti mura ciclopiche la cui dimensione dei massi è fuori dal comune, assieme agli edifici costituiti di grandi ambienti circolari disposti su un vasta area urbana, conferma archeologicamente la sua esistenza gia dal II millennio a.C., in piena epoca nuragica. Risalenti all’ottavo e quinto secolo prima di Cristo, sono pure i numerosi rinvenimenti archeologici tharrensi che documentano lo stretto rapporto che la città intratteneva con l’Oriente Mediterraneo. Qui sono numerosi i monili e le statuette rinvenute in argento, bronzo, oro, pietra e terracotta, riportanti divinità femminili, assieme ad icone egizie quali Iside e Osiride, che dimostrano l’assidua attività commerciale di Tharros nell’antichità.
  Tharros dunque con la sua esistenza fisica, porta a rivedere l’interpretazione degli storici sulla collocazione della antica Tartesso, capitale del grande impero amministrato da re Argantonio e allo stesso tempo consente con la sua storia, di avanzare nuove ipotesi sulla collocazione di Atlantide descritta da Platone.

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